RICORDO DI UN’ESPERIENZA PASSATA

STORIE DI SPORT – MONICA CORO’

RICORDO DI UN’ESPERIENZA PASSATA

Ho iniziato a nuotare a 8 anni, scuola nuoto

Perché ho scelto il nuoto ?

Mio padre mi aveva iscritto a scuola tennis e scuola nuoto contemporaneamente, dopo qualche mese mi ha detto che dovevo scegliere uno dei due.

Premetto che il mio sogno era danza classica, ma mi è stato ripetutamente vietato da entrambi i genitori con motivazioni assurde:  con la danza classica ti vengono le gambe grosse e rimani piccola….

Anche a quell’età capivo che non erano motivazioni valide (avevo un paio di amiche che facevano danza classica e potevo constatare che non era così)

Con questo mio sogno reso impossibile, ho scelto il nuoto, non perché mi piacesse ma tra i due sport mi sembrava quello meno peggio, forse perché non mi piaceva l’odore della terra rossa sotto il pallone d’inverno

Durante i miei corsi di scuola nuoto ho pianto tanto, in particolare con un’istruttrice poco simpatica e molto severa

Finita la scuola nuoto è arrivata la pre-agonistica. Successivamente a causa del trasferimento con la famiglia in un’altra casa, proprio a poche centinaia di metri dalla piscina del CONI, mio padre mi ha iscritto in una vera società di nuoto per fare agonismo.

Manco a dirlo non mi è mai stato chiesto se mi piacesse nuotare, domanda che non mi sono mai sentita rivolgere in tutti gli anni di nuoto; le cose si dovevano fare perché mio padre lo decideva, negli anni a venire avrei scoperto che lo faceva per se stesso, le mie vittorie erano le sue vittorie, le mie sconfitte motivo di grande delusione per lui che voleva vedere realizzati i suoi sogni di calciatore mancato attraverso me

Con questo fardello da portare non mi è mai stato possibile godere di questo sport come scelta consapevole bensì come imposizione

Ricordi traumatici sono quelli che conservo impressi nella mia mente quando piccolina e magrolina iniziavo i miei primi allenamenti con la nuova squadra, fatta di bambini già da tempo abituati ad allenarsi.

Io invece venivo da una piccola piscina da 18 metri, non sapevo cosa fossero gli allenamenti per di più in vasca da 25 mt e con acqua spesso gelida, Ho pianto tanto mentre nuotavo e stretto i denti, non avevo altra scelta.

Così anche negli anni a venire, condannata a nuotare perché nel frattempo mio malgrado arrivavano i risultati, sempre più importanti, fino ad arrivare a vincere i campionati italiani di categoria ed assoluti ed ad entrare in nazionale.

Per fortuna sono riuscita a trovare comunque dei momenti piacevoli; dal momento che le mie giornate di svolgevano tra la scuola e la piscina, non avevo molto tempo per coltivare le mie amicizie “esterne” ed ho quindi trovato una squadra di ragazzi/e simpatici con i quali divertirmi prima e dopo l’allenamento.

Alle gare più importanti loro non riuscivano a qualificarsi, ed io mi ritrovavo a dover andare in trasferta da sola, accompagnata dal mio allenatore e da mio padre (onnipresente),con tutto il carico di ansie e aspettative che questo comportava.

Ho molto sofferto di questa mancanza di presenza della squadra, di far parte di un gruppo per poter condividere questi momenti molto importanti.

I vari allenatori che si sono susseguiti per mia fortuna non sono stati niente male,  non troppo severi, e  simpatici da rendermi questa attività un pò più accettabile.

Ci sono stati momenti felici vi chiederete, possibile che sia stato tutto così negativo e traumatico ?

La parte negativa e traumatica è quella relativa alla presenza oppressiva di mio padre che mai si è preoccupato di chiedermi se mi piaceva quello che facevo, mi ha obbligato a continuare a nuotare con il ricatto quando volevo smettere, che ha sfruttato le mie doti e quindi i miei successi per farli suoi e compensare le sue mancanze e desideri di rivalsa.

Non so se si sia mai reso conto di quello che faceva; non credo perché in tutta la sua vita non a mai speso una parola in tal proposito.

La parte positiva è stata, che acquisito consapevolezza delle mie capacità e sono riuscita ad esserne soddisfatta.

La disciplina ferrea mi ha forgiato, ho imparato a soffrire, andare avanti e a capire che per ottenere dei risultati bisogna crederci.

Questo nella vita adulta mi ha aiutato moltissimo.

Lo sport è una grande scuola di vita

La mia rivincita è stata nuotare e gareggiare da master, dopo aver smesso di nuotare a 18 anni e non aver messo più piede in piscina per 10 anni.

La decisione di tornare a nuotare per poter finalmente farlo come volevo, una libera scelta consapevole.

Devo dire che mi sono ampiamente rifatta di quello che mi era mancato prima:  senso di appartenenza ad una squadra, scegliere quanto allenarmi, quali gare scegliere.

Ho scoperto piacevolmente che la testa fa la differenza anche a 50 anni, quando il fisico non è più quello dei 16 anni e nemmeno le energie e gli allenamenti .

Nuotare perché lo volevo io, ho potuto godere pienamente delle  mie vittorie, accettando anche i risultati negativi con consapevolezza e ponendomi sempre degli obiettivi sui quali lavorare.

Quando penso al mio talento giovanile, mi rendo conto che è andato sprecato, non coltivato.

Negli anni ’70 non veniva data molta importanza all’aspetto psicologico, noi ragazzini venivamo buttati in acqua a nuotare senza alcuna consapevolezza di cosa facevamo, quali potevano essere i nostri obiettivi, con quali modalità raggiungerli.

Infine il nuoto tanto odiato e poi accettato e accolto, ha segnato e continua a segnare la mia vita tanto da non poterne più fare a meno e che anche adesso mi continua a proporre  nuove modalità di attuazione poiché gli anni passano e l’approccio di conseguenza richiede degli adattamenti

Facebookby feather

INCONTRAMI al PRE-GARA

INCONTRAMI al PRE-GARA”
( Monica Vallarin, Psicologa dello Sport )
A volte lo scopri per caso, altre lo assembli in modo tecnologico, in altre ancora cerchi di farlo assomigliare a quello di qualcun altro, ma quando non sai più dove cercare, puoi guardarti dentro e chiedere in prestito a te stesso quello che hai l’impressione di non avere. Se c’è un appuntamento al quale bisogna essere presenti a se stessi questo e’ il pre-gara : quel territorio spazio-temporale che ogni atleta abita in modo altamente personalizzato, ma non sempre utilizzabile.
E’ certamente un frammento di tempo che mette alla prova la sensazione di efficacia negli atleti, la loro fiducia interna e la loro centratura rispetto alle coordinate di viaggio della gara che stanno per fare; è un momento potentemente sociale, ma paradossalmente di intensa solitudine.
La prossimità fisica con gli avversari e’ attraversata da segnali  non verbali più o meno consapevoli e le spinte istintuali di dominanza e competitività finiscono spesso per valere più delle parole dette o taciute. Ogni atleta, soprattutto se di uno sport individuale,ha l’onere e il privilegio di transitare dal pre-gara in discreta solitudine psichica e affettiva, se non proprio sociale. È una condizione che bisogna imparare a gestire per evitare che si trasformi in un vincolo o, peggio ancora, in una trappola che sottrae energia,minando lo stato mentale ed emozionale dell’atleta.
In questa fase, che precede l’espressione del potenziale e il contatto con il limite fisico e mentale, l’atleta si trova necessariamente ad affrontare alcuni COMPITI di assoluta rilevanza ai
fini della prestazione:
  • la gestione della sensazione di efficacia personale in relazione al compito e al ruolo
  • il livello di adattamento all’ambiente fisico e sociale, non sempre prevedibile e controllabile
  • la regolazione dello stato di attivazione neurofisiologica in relazione all’obiettivo e al compito
  • il flusso eventuale di pensieri ed emozioni più o meno orientato
  • i dialoghi interni (con se stesso)ed esterni (con gli altri)
  • la gestione delle aspettative interne (le proprie)ed esterne (quello delle altre figure rilevanti per l’atleta)
  • il ricordo di gare precedenti,che talvolta invade il presente, diminuendo la connessione nel qui-ed-ora del pre-gara
  • la qualità dell’allineamento tra pensiero ed emozione (se l’atleta si sente debolmente efficace o eccessivamente esposto al compito e al giudizio altrui, può fare l’esperienza di pensieri ed emozioni disattivanti dal punto di vista prestativo)
  • l’allineamento tra obiettivi consapevoli e aspettative di risultato, che quando divergono producono disattivazione e demotivazione.
Ognuno di questi aspetti può essere considerato un’area potenziale di sviluppo,un terreno fertile e delicato che ha bisogno di cure e attenzione per poter dare i suoi frutti. Un pre-gara ottimale non può
essere prescritto o preso in prestito da quello di altri, ma potrà invece essere costruito “ad hoc” sui bisogni e sulle attitudini del singolo atleta, che diventerà progressivamente più esperto nell’attivare i fattori mentali, relazionali ed emozionali utili in quel momento, dentro e fuori di sé.
Gli ALLENATORI orientati all’ASCOLTO EMOZIONALE e CONSAPEVOLI degli effetti della COMUNICAZIONE ORIENTATA, capaci di BUONI DIALOGHI con l’atleta, ma DISPONIBILI al SILENZIO quando serve, attivamente SINTONIZZATI con l’atleta , possono essere i migliori ALLEATI, provare per credere.


Facebookby feather