Carissimi, negli ultimi mesi della mia attività professionale estiva ho avuto l’opportunità di lavorare con giovani atleti che stavano affrontando, senza esserselo detto, lo stesso problema emotivo: la paura di non avere l’energia sufficiente per terminare la gara (di solito la gara più ambita).
Lo scritto che segue vuole condividere alcune riflessioni sul tema delle grandi paure nello sport, evidenziando le connessioni tra aspetti emotivi, mentali e il rendimento in gara.
Ad una prima analisi sembrerebbe trattarsi di un semplice aspetto energetico, migliorabile se gestito in maniera più strategica e con una accurata attenzione ad aspetti quali: carichi di lavoro adeguati, alimentazione, idratazione, preparazione atletica.
Dopo un’attenta analisi delle componenti psico-emotive che caratterizzano la percezione dell’atleta, emerge invece (ad un livello inizialmente meno consapevole), una forte preoccupazione emotiva caratterizzata da una bassa sensazione di efficacia personale (un insieme di pensieri e convinzioni che, prima e durante la performance, generano nella mente dell’atleta una sorta di “previsione” sulla propria “debole” riuscita ) e uno stato di ansia anticipatoria rispetto alle possibili conseguenze di una tale eventualità .
Nella mente e nel cuore degli atleti le peggiori minacce sono: doversi fermare, sentirsi fisicamente male, essere giudicati dei “perdenti” incapaci di reagire e per questo non degni di fiducia e di stima da parte delle figure importanti (allenatori, genitori, compagni), non veder riconosciuto il proprio impegno a prescindere dal risultato.
Di fatto la grande attivazione psico fisica che li caratterizza tende a facilitare il verificarsi della situazione tanto temuta: gli atleti consumano quantità notevoli di energia ancor prima della gara (ma potremmo anche dire di qualsiasi altro tipo di “performance” non necessariamente sportiva), finendo per essere esausti e svuotati ben prima della partenza.
La loro mente è spesso satura di pensieri ricorrenti di stampo negativo (previsioni negative o catastrofiche) con i quali tentano invano di controllare la situazione emotiva interna, cercando di ridurre il livello di incertezza “percepita” rispetto al risultato, confusi emotivamente e mentalmente rispetto all’obiettivo sul quale portare la propria attenzione e al servizio del quale vorrebbero dispiegare le proprie energie residue. Frequentemente purtroppo ciò che accade in gara tende a confermare la peggiore profezia che tende inevitabilmente ad autoavverarsi : “l’atleta sembra non disporre di energia sufficiente per affrontare e gestire al meglio quella gara” e questo finirà per alimentare le invisibili convinzioni negative limitanti alle quali troppo spesso gli atleti finiscono per credere (“ non ho talento, questa gara e’ fuori portata per me , non mi sono allenato abbastanza ,non ho la testa vincente , non era ancora il momento per farla……etc).
Nel lavoro di coaching sportivo cerco quindi di costruire insieme agli atleti piani d’azione strategici e personalizzati, capaci di favorire esperienze emozionali correttive calibrate e sostenibili che , piano piano, permettano all’atleta di ristrutturare le proprie convinzioni negative, favorendo una maggiore disponibilità a sperimentare “nuovi assetti tattici” di gara e a gestire attivamente le emozioni che precedentemente richiedevano un grande dispendio energetico (capace di generare uno svantaggio prestazionale notevole), fino ad arrivare a ripristinare la fiducia interna .
Gli inglesi dicono “non mettere mai tutte le tue uova nello stesso paniere”: un atleta più aperto a sperimentarsi in gara non è solo un atleta più flessibile e con una piu’ ampia gamma di opzioni di riuscita, ma necessariamente un atleta piu’ capace di orientare la proprie energie psico-fisiche verso obiettivi sentiti come rilevanti e sostenibili e quindi un atleta piu’ libero e soddisfatto.

