Per quanto mi sforzi di spaziare con lo sguardo a destra e a sinistra del punto “zero” dell’interruzione agonistica, noto che gli eventi situati a destra dell’asse del tempo premono sul confine della consapevolezza, unendosi come un branco di cavalli addossati alla staccionata che tentano di prevalere uno sull’altro al fine di conquistare le prime posizioni e assaporare la libertà della narrazione. Decido arbitrariamente di celebrare uno dei più potenti e inaspettati “approdi” del post-agonismo: l’incontro con lo yoga. Avevo 17 anni e nella mia mente disorientata e pressoché priva di ancoraggi, YOGA corrispondeva all’immagine di qualcuno fermo, seduto a gambe incrociate, in un luogo sicuro. Questo era ciò che inconsapevolmente andavo cercando, senza in verità averne mai fatto esperienza. Non posso nemmeno attribuirmi il merito della ricerca perché in verità fu Titti, una compagna del liceo, a propormi una lezione di prova. Mi lasciai incuriosire senza pregiudizio, lasciando che il mio corpo, la mia mente e senza saperlo anche la mia anima, facessero un’esperienza inedita e quanto mai inaspettata. Lasciarsi guidare senza sforzo in una pratica in cui mente e corpo avrebbero trovato un loro RITMO, in cui la tanto temuta FATICA avrebbe lasciato il posto al PIACERE delle sensazioni e in cui il RESPIRO avrebbe ritualizzato una tardiva ma preziosa alleanza tra le parti di me; accettandole tutte senza giudicarle e senza aspettarsi necessariamente un risultato, stemperando impercettibilmente i fantasmi della performance un respiro dopo l’altro, come in un acquerello diafano ma non per questo evanescente. Sentivo di CONSISTERE con tutta me stessa durante ogni pratica, mi riappropriato momento per momento della mia FISICITÀ e sentivo, senza spiegarmelo, che attraverso quell’esperienza stavo permettendo a tutta me stessa di raggiungere un nuovo approdo nella mia lenta transizione da atleta a persona. Fu come sentirsi a casa dopo un’estenuante viaggio: all’apparente semplicità delle pratiche corrispondeva la potenza delle sensazioni; lo yoga mi aiutava a riprendere il DIALOGO con me stessa e con quel CORPO ormai ODIATO dal quale, senza accorgermene, avevo preso un’incommensurabile distanza; non mi ci volle una seconda prova per decidere che avrei mantenuto la promessa tacitamente formulata a me stessa nel silenzio della meditazione. Il mio maestro Ananda Ananda Saraswati me lo disse molti anni più tardi: “puoi lasciare lo yoga, ma lo yoga non ti lascia”. Sentendo le sue parole, fu definitivamente chiaro: ciò di cui avevo fatto esperienza era da sempre con me.
( Monica Vallarin- esercizi di scrittura autonarrativa su momenti apicali della propria vita, marzo 2016)

