IL COACHING SPORTIVO

 La crisi come opportunità

La mia esperienza di Psicologa dello Sport ha le sue radici nel microcosmo agonistico delle piscine, ambito a cui ho dedicato energie fisiche e mentali per gran parte della mia adolescenza. Solo a seguito di una netta, quanto apparentemente inspiegabile interruzione agonistica ho lentamente percepito e compreso quanto fossero imponenti gli investimenti affettivi che gli atleti riescono a sviluppare nei confronti di questo tipo di attività. Un ambito capace di fornire importanti emozioni, ma anche pervadenti ansietà. Non a caso mi trovo da anni e sempre più spesso ad incontrare nella mia attività professionale, atleti e adolescenti che praticano discipline individuali come il nuoto, la scherma, l’equitazione, il tiro con l’arco ed altre ancora. Giungono quasi sempre alla consultazione per una ormai consolidata “crisi” prestazionistica, a cui hanno fatto seguito un fisiologico calo motivazionale, difficoltà nella percezione delle proprie risorse e una drastica diminuzione dei livelli di autoefficacia, frequentemente amplificato da pericolosi picchi di autocritica e senso di colpa diffuso.

IMG_1239All’inizio del mio iter formativo ho soprattutto fatto riferimento ad un orientamento psico-sociale, attento alle variabili che dentro e fuori la famiglia, declinavano l’esperienza emotiva e prestativa nell’interiorità del giovane atleta. A dire il vero, l’idea di lavorare sull’ottimizzazione della prestazione mi sembrava, allora, quasi deontologicamente scorretta. Ciò che mi chiedevano gli atleti era soprattutto di poter alleggerire il grande peso delle aspettative interne ed esterne, di poter ancora sperimentare gioia e divertimento in allenamenti e gare, di essere aiutati a focalizzare i loro “personali “obiettivi piuttosto che quelli della squadra, degli allenatori, od ancora dei propri genitori. Qualcuno mi chiedeva di essere aiutato a darsi il permesso d “smettere”.

Dai miei atleti ho tratto e continuo a trarre illimitati stimoli a considerare ogni tipica “configurazione” (ansia pre-gara, calo motivazionale, problemi di attivazione, etc.) in maniera estremamente attenta e personalizzata, favorendo la capacità di ognuno di loro di attribuire un personale significato emotivo-cognitivo a ciò che sta sperimentando sul palcoscenico dello sport cosiddetto “d’eccellenza”.

Riuscire ad integrare nella mia pratica professionale il lavoro sul miglioramento della prestazione è stato quasi iniziatico: una specie di atto eroico sostenuto dalla profonda consapevolezza che ogni atleta, indipendentemente dall’età e dal livello prestativo “attuale” è prima di tutto persona e che secondo la cornice di riferimento che ho adottato non ci sono atleti eccellenti e non, ma piuttosto soggetti che chiedono di essere compresi e sostenuti durante fasi “sensibili” della propria esperienza sportiva ,ma anche di  vita  al fine di realizzare in modo autonomo ed efficace la miglior performance psico-fisica possibile in quel dato momento. Alla fine, se lo stato mentale è calibrato, se le emozioni sono “amiche” e propulsive, se la rappresentazione  mentale della gara  non è  una minaccia, ma un’opportunità compatibile con le aree di funzionamento  più sensibili e delicate dell’atleta… la prestazione è quasi una conseguenza  o se vogliamo, la fase finale di un viaggio verso lo stato “desiderato”.

Come sanno bene gli atleti, e’ esattamente tra stato attuale e stato desiderato che prende vita il percorso di coaching sportivo.

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