“La gestione delle aspettative esterne: limite o opportunità?”

L’atleta agonistico si trova spesso di fronte a un compito emotivo rilevante: la gestione delle aspettative esterne ovvero quell’insieme di sentimenti emozioni e convinzioni. Consapevoli e non, che il proprio sistema di riferimento sente nei confronti dell’atleta e della sua performance. Allenatore, famiglia e squadra inevitabilmente sviluppano un sistema di aspettative talvolta connesso con il miglioramento della prestazione in sé, altre volte e capace di veicolare significati profondi in cui identità e risultato sportivo si confondono pericolosamente.

IMG_0386Aspettative esterne congruenti ed allineate con gli obiettivi consapevoli dell’atleta possono essere agevolmente utilizzate in modo funzionale come risorsa e supporto esterno, quando invece l’atleta percepisce spinte che prevedono un verticale e continuo miglioramento prestativo, sentito come non sostenibile “soggettivamente” e non allineato con il personale piano d’azione stagionale, vediamo trasformarsi una risorsa esterna in una interferenza o in un limite che ogni atleta deve poter gestire .

Di fronte a fenomeni quali il blocco della prestazione, soprattutto in adolescenza e nella transizione alla età adulta e’ opportuno valutare attentamente la modalità “soggettiva” attraverso la quale ogni atleta gestisce il sistema di aspettative esterno: occorre capire se l’atleta utilizza modalità funzionali alla risoluzione del problema e alla gestione della emozione prevalente o, come spesso succede, rimane intrappolato in una serie di tentativi ricorrenti che invece di decomprimerla, amplificano la percezione della pressione esterna. Alcune delle conseguenze più osservabili sono: l’ansia da prestazione e l’impossibilità di raggiungere e mantenere un livello di attivazione “ottimale “durante tutta la gara. Appare frequentemente una situazione paradossale: più l’atleta cerca di soddisfare pienamente ciò che gli altri si aspettano da lui, più risulta bloccato e più’ questo accade, più l’atleta cerca di non deludere, ma più cerca di farlo e più non ci riesce.

Solo attraverso il blocco della strategia “disfunzionale” perpetuata dall’atleta si può dar vita ad una spirale positiva, in cui proprio grazie ad una logica paradossale, meno l’atleta si occupa di soddisfare le aspettative esterne e più le soddisfa, senza occuparsene direttamente. Durante la gara, esprimerà il proprio potenziale del momento, in uno stato di perfetta e calibrata connessione mente-corpo, ri-orientando  la propria attenzione su aspetti emotivo-cognitivi e sensoriali che, in modo strategicamente personalizzato, gli permetteranno di condurre a destinazione la propria “nave”. La grande scoperta consisterà nel “sentire” come solo disinteressandosi consapevolmente delle aspettative esterne, inizialmente così prorompenti, avrà potuto soddisfarle, ritrovando contemporaneamente se stesso.

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