
Fu durante l’arrivo all’aeroporto di Miami che sentii per la prima volta l’inizio della fine. Guardavo un ragazzo di circa vent’anni intrecciare con accuratezza un un braccialetto attaccato ad un estremo del grosso zaino che gli stava davanti: provai un’invidia profonda, viscerale, priva di parole nei confronti di quella possibilità che lui rappresentava, la possibilità di fermarsi, intrattenersi senza una meta, senza cercare un risultato, senza dover raggiungere un obiettivo. In quel momento percepii la mia condizione di probabile olimpica come una sorta di vincolo una specie di condanna al moto perpetuo; la presunta immobilità di quell’esistenza mi fece sentire la forzatura del mio dinamismo. L’ invidia che provai mi mise in contatto con la parte di me che, probabilmente già da tempo aveva cominciato a desiderare di fermarsi, magari rallentare, non necessariamente smettere… sempre che fosse possibile. Fu un momento ,allo stesso tempo, conflittuale e iniziatico che non potevo prevedere ma che mi trovai inaspettatamente a vivere proprio mentre stavo andando agli American Trials in Florida, una delle ultime tappe statunitensi a meno di due mesi dal rientro in Italia e alle selezioni per i mondiali. L’attimo cristallizzato vissuto a Miami conteneva in embrione tutte le coordinate della transizione che, a mia insaputa, avrei dovuto attraversare nei mesi seguenti. “Fermarsi” era una dimensione nella migliore delle ipotesi, occasionale: il “fare”, declinato nelle spietate sfaccettature di allenamenti e gare, sovrastava la routine quotidiana della mia vita di atleta. Ogni momento, anche le pause, era indiscutibilmente messo al servizio della performance, gli obiettivi agonistici sostenevano l’impianto della mia intera esistenza . Ero così identificata con il nuoto, che facevo fatica a immaginarmi “altro”, a immaginarmi “oltre”…potevo sentirmi degna solo se continuavo a nuotare, a nuotare quel nuoto che da passione stava inevitabilmente diventando vincolo.
Chiusi quell’archivio così destabilizzante senza buttare la chiave, intuendo che prima o poi avrei dovuto occuparmene.

