“BIGLIETTO PER MOSCA”(Finale Coppa Mosca -Piacenza 1980)

Il momento e’adesso, oggi è il giorno; non ieri, non domani .

La mia mente razionale scalpita per i risultati ottenuti negli ultimi due giorni di gara e non ci va molto a capire che sono, come si dice, “in gran forma”. Come  una giocatrice esperta  ho calibrato il sottile flusso dell’energia, un passo alla volta, una gara per volta, vasca dopo vasca; ho davanti a me una grande opportunità, ma anche una grande minaccia: tra le otto finaliste italiane nei 100 stile libero, in quella che è la “mia”gara, solo la prima, indipendentemente dal tempo cronometrico, staccherà’ il biglietto per il sogno olimpico, Mosca 1980. Lo sappiamo tutte, il criterio di selezione e’ pubblico e ben definito: mettere la mano davanti e’ l’opportunità, metterla dopo, la minaccia. Curo con estrema attenzione i particolari che contano per me: ciò che mangio a pranzo, la durata del sonnellino dopo-pasto, il ritmo con cui mi preparo, ciò che scelgo di fare o non fare nel riscaldamento pre-gara, “come” mi metto il costume per la finale e le cose che “mi dico” nella mente, in una sorta di alchemica sequenza che da un certo punto di vista ha qualcosa di un rituale magico; d’altronde e’ di una magia che si tratta, di qualcosa di straordinario, non se ne riparlerà prima dei prossimi quattro anni. Scelgo intenzionalmente di lasciarmi fluire in questa corrente che io stessa sto creando, mi sento attivata, ma a mio agio: identifico il perimetro del confine che separa l’estroversione dall’introversione, mi congedo dal mio allenatore, non guardo in tribuna, bacio Elena, la mia compagna di squadra che prenderà parte alla mia stessa finale …ci congediamo da amiche e gareggeremo da avversarie.

Rimango sola, in silenzio per i miei “soliti” venti minuti: ho bisogno di parlarmi, di dirmi le cose che mi servono e poi di tacere nella mente, di sentire solo il mio respiro e il mio cuore che mi aspetta e mi sostiene. Non vedo nessuno intorno a me, ci sono ma non li vedo, assorta in un restringimento del campo di coscienza che illumina il futuro che mi aspetta e con il quale mi connetto prima ancora di fare le prime bracciate.

Parto  e passo alla prima metà di gara insolitamente e inaspettatamente lenta rispetto alle previsioni, la mia mente razionale me lo sussurra appena ,solo quello che ci si aspetta da un complice affidabile …sono a tre quarti di gara e sono seconda, non penso più e spingo in una progressione propulsiva e consapevole verso l’arrivo: è un testa a testa, la mia mente mi sussurra che non c’è tempo per analizzare, ma solo per prendere iniziative, bracciata dopo bracciata, metro dopo metro, giocandomela con me stessa prima ancora che con S. alla mia destra. L’avversario più temibile sono io se mi lascio sopraffare dalla fatica dalle gambe che non sento più, dalla nuotata che diventa metallica, dagli ultimi metri in apnea per ottimizzare le spinte. Guardo dentro di me …mi aspetto; ci voglio tutta: anima e muscoli, mente e respiro …l’ombra scura che vedo alla mia destra mi serve solo per non perdere la direzione, niente di più .

Tocco ,guardo il tabellone elettronico: sono io ! Vedo  il tempo, il piazzamento e mi accorgo che ciò di cui sto facendo esperienza l’ho “creduto” possibile sin dall’inizio: non sono stupita, solo felice …il risultato e’ la  conseguenza dell’incondizionata fiducia che ho avuto in me stessa.

Grazie Monica !

(Monica Vallarin ,ex atleta , Psicologa dello sport-febbraio 2016 /autonarrazione)

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