"LA STAFFETTA COME ESPERIENZA INTERIORE"
(Monica Vallarin, ex atleta-autobiografia sportiva, settembre 2019)
I nuotatori lo sanno bene, ognuno a suo modo, nuotare in staffetta è spesso un’esperienza straordinaria. Da atleta mi bastava che l’allenatore pronunciasse il temutissimo nome, per sentire una sorta di ansietà pervadere ogni parte del corpo, se avessi potuto scegliere, ne avrei fatto volentieri a meno.
Il peso di quella responsabilità condivisa era troppo per me, avrei preferito rischiare da sola, mi sarebbe sembrato molto più sopportabile .
La timida consapevolezza delle mie giovani capacità non mi dava sufficienti garanzie di riuscita e la sola idea di provocare uno svantaggio alle altre, mi destabilizzava; in mezzo a tutti i miei compagni di squadra che, euforici e adrenalinici, si incitavano senza tregua, mi sentivo diversa e, se ci penso bene, un po’ sola.
Quella da reclutare, quella da raggiungere, senza saperlo, ero io o almeno quella parte di me che non avrebbe voluto coinvolgersi in una simile esperienza, il resto sarebbe stato inevitabilmente una conseguenza.
A guardar bene, nella mia attività agonistica, ho fatte innumerevoli staffette, quasi sempre in ultima frazione, tipicamente destinata al recupero di un ipotetico temibile svantaggio.
Nel tempo ho addomesticato l’ansia primordiale, spesso condividendola con la prima frazionista, ma questo ruolo forzatamente protagonistico in verità non mi e’ mai piaciuto; un ruolo che rischiava, nel bene o nel male, di accentrare tutta l’attenzione su di me.
Il senso di responsabilità a cui peraltro cercavo di rispondere, sovrastava sempre l’irraggiungibile divertimento; devo ammetterlo, a parte rare eccezioni l’ho sempre vissuta come un’esperienza vincolante e fortemente esposta al giudizio degli altri, paradossalmente assai più delle gare individuali.
Però ero velocissima, capace di ottimi cambi e determinata nella gestione dello svantaggio e questo, dal punto di vista degli allenatori, bastava.
C’e’stata una volta pero, in cui tutto è stato facile, fluido e vorrei dire spaventosamente attivante: parlo dell’eliminatoria e della finale della 4x100 mista alle Olimpiadi di Mosca 1980, frazione a stile libero. Doppio record italiano nello stesso giorno, quinto posto in finale, ma soprattutto un’intesa perfetta con le compagne di staffetta.
A 15 anni, per fronteggiare l’impatto emotivo di un’Olimpiade, la staffetta è stata una salvezza.
Alla maestosità delle tribune della piscina, alla mia percezione di inesperienza in quel contesto cosi’ prestigioso e al battere incontrollabile del mio cuore fino ai blocchi di partenza, ho potuto resistere perché ho avuto qualcuno vicino a me, qualcuno che, in modo quasi sincrono, seppur stilisticamente diverso, avrebbe fatto la propria parte perseguendo un obiettivo comune che, senza essercelo detto, siamo riuscite magicamente a raggiungere.
Laura, Sabrina, Cinzia: grazie!
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